Scuola Media di Lipomo

Lipomo è il primo comune posizionato lungo la direttrice storica che da Como porta a Lecco, godendo di una posizione che domina sulla Valle del Cosia. L’area che l’Amministrazione Comunale mette a disposizione per il nuovo plesso scolastico è situata ai piedi del viale alberato che conduce al poggio ove è collocata la seicentesca parrocchiale dei Santi Vito e Modesto, contigua al nucleo storico che domina il paesaggio delle colline prealpine. Dal punto di vista morfologico presenta un ampio pianoro oltre il quale vi è un declivio accentuato verso la statale Como Lecco. Il disegno del complesso scolastico impegna lo studio di Mantero per tutti gli anni Ottanta e viene realizzato per parti senza mai giungere al completamento dell’impianto inizialmente previsto. Il progetto preliminare risale all’inizio del decennio e contiene già tutti gli elementi che poi verranno meglio sviluppati nel progetto definitivo. Già nel progetto preliminare viene indicato uno schema a pettine che pone le prime dodici aule su un unico piano, e le restanti tre sulla testata del piano inferiore, collegate trasversalmente da un corpo di servizi legger mente asimmetrico. Nelle corti, che si creano tra le maniche delle aule, trovano invece posto le gradonate che raccordano i livelli del terreno e che ospitano gli spazi collettivi. L’altro schema, che diverrà poi definitivo, dispone le aule lungo il declivio del terreno, in corrispondenza dei terrazzamenti esistenti: questa decisione caratterizza l’intero progetto che comporta quindi la costruzione di due blocchi di aule lungo il pendio divise centralmente dall’auditorium, e la collocazione a monte delle aule del corpo in linea a due piani contenente la parte direzionale della scuola. Le due ali gradonate delle aule sono tra loro diverse – la prima contiene nove aule, la seconda le restanti sei –, mentre l’auditorium – adagiato anch’esso sul declivio naturale del terreno – è pensato come un piccolo teatro allungato, forma urbis con la convalle comasca come scena-fronte. La sezione ci rivela che le aule, disposte a gradoni, fanno un salto di un piano alla volta, fornendo a ciascuna una doppia apertura verso valle e verso monte. Il nucleo aula-corridoio è coperto con un solaio in parte inclinato – nelle aule, alla maniera di un grosso shed –, in parte piano. In tal modo ogni aula è caratterizzata da un riscontro d’aria e dalla dotazione di uno spazio a terrazzo per la ricreazione. All’estremità esterna, su tutti i livelli, trovano posto i blocchi dei bagni con diverse caratteristiche morfologiche rispetto al corpo aule. Il sistema distributivo principale è affi da to alle scale che ricordano le antiche cordonate che troviamo spesso negli agglomerati urbani e che intersecano i corridoi longitudinali di di stribuzione del piano aule. L’impianto cita due esempi illustri, la scuola riformata al Bornheing Hang di Ernst May (Francoforte, 1927) e la scuola a Munkegaard di Arne Jacobsen (Copen hagen, 1951-1954). Mantero mette in pratica il suo pensiero cercando di dare a ogni aula pari dignità, nello stesso modo in cui darà pari importanza ad ogni alunno. A monte, lungo la via che conduce all’ottocentesca Villa Parravicini, il corpo d’ingresso genera un’interessante piazza triangolare, adibita a parcheggio. All’interno del primo edificio, che costruisce una cortina edilizia lungo la via, sono contenuti gli ambulatori comunali, la biblioteca – ora centro giovanile – e l’alloggio per il custode. Dietro questo elemento introduttivo vi è il grande volume della palestra. L’ingresso per il pubblico è posto alla quota della piazza mentre il campo da gioco in posizione ribassata di un piano, soluzione utilizzata spesso dal progettista: in questo modo il volume della palestra risulta più facilmente gestibile e rientra in un tutt’uno con la composizione del primo corpo. La palestra è dotata di una tribuna metallica e, sotto il corpo della biblioteca, al piano seminterrato, trovano posto gli spogliatoi e gli altri locali di servizio. Anche per parte del progetto i disegni mostrano un’evoluzione dalla prima idea che prevedeva le tribune su due lati del campo e gli spogliatoi sul lato corto interno al lotto, diverse soluzioni per il prospetto alto verso valle fino alla versione definitiva per la quale vengono elaborati diversi schemi strutturali (la struttura prefabbricata in calcestruzzo lascia il posto ad un struttura metallica con travi reticolari simile a quella dell’istituto tecnico Bovara di Lecco, dello stesso autore). La collocazione delle funzioni di vita associata – la palestra e il corpo biblioteca – come cerniera tra scuola e luoghi urbani, permette un loro utilizzo anche in orari diversi da quelli dell’attività didattica. Il corpo longitudinale posto a testata delle aule, su due piani, è una sorta di corridore voltato a botte ribassata, e al suo interno trovano spazio, al piano terra, gli uffici dedicati alla segreteria, alla presidenza e agli insegnanti. Al piano primo, che si raggiunge anche attraverso una rampa, ci sono le aule per attività artistiche e musicali. Il progetto rivela tutta la sua ricchezza compositiva soprattutto in sezione vissuta come momento di analisi e d’invenzione che poi riesce a esprimersi attraverso un prospetto altrettanto complesso e composto. Nel passaggio alla fase esecutiva il progetto è diviso in lotti: il primo dei quali prevede la costruzione delle prime nove aule e di metà del corpo alto posto sulla testata – il progetto si avvale della collaborazione dell’ing. Mino Noseda per la parte strutturale e per la D.L. che viene compiuta dallo stesso in collaborazione con l’ufficio tecnico del Comune; tale fase viene conclusa nell’estate del 1984. Col secondo lotto, realizzato poco dopo il primo, vengono costruite la palestra e l’edificio che contiene la casa del custode. Il progetto esecutivo di quest’ultimo lotto viene redatto sul finire degli anni Ottanta ma non sarà mai realizzato. Rispetto al progetto preliminare se ne ipotizza un completamento solo parziale: l’auditorium viene radicalmente accorciato, si prevede il completamento del corridoio posto a monte e la realizzazione di due sole aule, al livello più alto. L’auditorium completo viene riproposto nel terzo lotto complementare, con le medesime caratteristiche del preliminare ma con una diversa soluzione per la copertura. La poetica e il pensiero di Enrico Mantero sono in questo progetto pienamente rappresentate, così come la sua grande capacità di sintesi e di rilettura costante di quell’architettura a cui ha dedicato tutta la vita, individuando anche qui il legame con la scuola rogersiana e i compagni quali Guido Canella, Aldo Rossi e Lucio Stellario d’Angiolini. Il plesso scolastico di Lipomo, pur orfano di una parte, è un chiaro e riuscito esempio di edilizia scolastica che nel suo complesso racchiude sperimentazione e ricerca, unite alla convinzione che nella scuola si costruisce il futuro di un Paese.

[NICOLA MASTALLI E MARCO VALSECCHI da MANTERO: CENTO ANNI DI ARCHITETTURA]