“Le scuole (…) costituiscono il carattere dell’educazione di un popolo: continue essendo le rela zioni tra il contenuto e la forma le quali si compiono in un ciclo dove la causa potenzia l’effetto e l’effetto, a sua volta, alimenta nuove energie: belle scuole sono buone scuole” (A. Roth, 1954). In un articolo pubblicato su “Domus” nel 1978, Enrico Mantero commenta il progetto di Mario Botta per la nuova scuola di Morbio Inferiore ed esprime alcune sue riflessioni sull’architettura: “Il romanico lombardo come il Razionalismo lombardo, intesi come momenti etnicamente databili di un più ampio ma convenzionale capitolo di storia dell’architettura, si caratterizzano in generale sulle modalità della loro contestualizzazione e in particolare sullo svolgimento del dato funzionale (…). Si tratta di una logica del progettare che, una volta collocato il contenuto più ampio dell’edificio nel suo contesto, nel suo paesaggio e cioè nella sua storia, si applica a decifrar ne il ruolo sovrastrutturale, cioè a indurre sul comportamento di una funzione di vita associata data nelle sue generalità: in questo caso la scuola (…). Il problema dell’architettura – ed è qui che si possono fondare utili paradigmi più che teorie – si organizza su questa frontalità: abbiamo infatti architetture che descrivono le loro basi materiali a fronte di architetture che descrivono le loro basi ideali. La vita dell’architettura come lavoro umano e quindi come costruzione delle attività, si svolge appunto in questa spirale legittimando, volta a volta, eclettismo e realismo, formalismo e funzionalismo. La sua comprensione sarà nell’appartenere, alla fine, all’unico pa radigma concreto cioè a quello della contestualizzazione e della datazione etnica: che vuol dire ampiamente disponibile all’uso civile” . Sembra evidente in queste parole un atteggiamento autobiografico, un riferimento al proprio modo di concepire e vivere l’architettura, soprattutto nel sottolineare questo aspetto civico della stessa, ovvero la sua disponibilità all’uso civile. Un tratto essenziale per comprendere l’opera di questa generazione di progettisti per i quali l’architettura era ancora uno strumento sociale, e per leggere al meglio i numerosi esempi di edilizia scolastica, edilizia che Enrico Mantero realizza soprattutto negli anni Settanta e Ottanta. Nel descrivere queste opere è necessario metterle in re lazione con l’impegno universitario del progettista, prima come allievo di Ernesto Nathan Rogers e quindi come docente. In uno scritto nel 1947 Rogers manifesta il suo pensiero sul tema dell’istruzione e dell’architettura a essa legata: “È fuori di dubbio che una pedagogia progressiva richiede un’architettura ade guata, cioè organismi funzionali, flessibili alle complesse esigenze di un metodo educativo il quale non si accontenta di considerare gli allievi come una massa indiscriminata, ma vuole favorire lo sviluppo di ciascun individuo. (…) ma è bene mettere in conto che i problemi dell’istruzione non possono compiersi senza un’architettura educatrice”. Più tardi, in qualità di direttore di “Casa bella Continuità”, lo stesso Rogers dedicherà un numero speciale della rivista all’edilizia scolastica in cui verrà pubblicata un’ampia rassegna delle migliori realizzazioni sul tema. Queste esperienze dell’architettura scolastica, realizzate e non, dalle scuole materne fino all’istituto tecnico superiore, portate avanti in prima persona da Enrico Mantero, vanno di pari passo con l’impegno universitario, ricerca che si conclude simbolicamente negli anni Settanta, quando egli stesso dirigerà un gruppo di ricerca, in stretta collaborazione con Lucio Stellario d’Angiolini, che avrà una sorta di atto conclusivo in una raccolta di lavori svolti sino ad allora in questo ambito. Il riferimento all’uso civile dell’architettura implica una riflessione sul carattere dell’architettura stessa, ovvero sul significato degli edifici e sulla loro relazione col tessuto sociale. I plessi scolastici progettati da Mantero non creano equivoci rispetto al loro significato o al rap porto con il contesto, in quanto l’impianto, e l’architettura riconoscibile e chiara diventano quasi un atto fondativo se calato nel processo di urbanizzazione di quegli anni. Un disegno urbano insomma che abbia sufficiente forza per dettare le regole delle future urbanizzazioni senza restarne poi sovrastato.
[NICOLA MASTALLI E MARCO VALSECCHI da MANTERO: CENTO ANNI DI ARCHITETTURA]