Condominio San Rocco

Il blocco di testa di un isolato triangolare è un tema affascinante; non facile, anzi difficile, soprattutto se, come in questo caso, l’isolato non era ancora definito, parte di una città in divenire, in cui le trasformazioni disegneranno il nuovo volto cittadino. È proprio l’importanza simbolica e identificativa, non solo del lotto, ma di una parte della città e dell’urbano, che rende il progetto essenziale e importante, per il ruolo che assumerà in una posizione delicata e avventurosa, per quell’immagine che rimarrà nel tempo una volta organizzato il nuovo incrocio. Intendo in posizione avventurosa in quanto affacciato su un luogo urbano aperto – anche se non si tratta di una piazza con significato aggregativo e sociale – il che determina una certa complessità di progetto data dalla quantità degli elementi in gioco che rendono il luogo speciale, con quelle connotazioni ed influenze ben diverse dall’essere solo – non per questo di minor importanza – ma una parte di un insieme, di una cortina, di un fronte. La via Recchi presentava infatti una facciata già definita, mentre la “nuova strada di p.r.g.”, poi via Massenzio Masia, non era ancora ultimata, se non nel tracciato. Inoltre l’antico sedime della linea ferroviaria delle FF.SS., che dallo scalo merci scendeva a lago con le arcate squadrate in pietra moltrasina e mattoni rossi, ormai abbandonato l’uso, sfilava proprio ai limiti del lotto, avanti la testa del nuovo fabbricato in fase di progettazione. L’approccio progettuale è immediato, rimanendo verosimilmente il medesimo, come testimoniato dalle versioni e varianti susseguitesi nell’elaborazione del progetto, denotando ricerca paziente, lecorbuseriana, e acquisendo via via sempre più la forza, la coscienza e la connotazione dell’opera realizzata. Fulcro del progetto è il blocco di testa, solido parallelepipedo, unitario nell’insieme, privo di dissonanze, anche se intarsiato, dove le parti concorrono a completare e definire l’opera tutta. Il piano rialzato, montato sul seminterrato, è zoccolo forte, ritmato dall’ossessiva cadenza dei pila stri, intervallati dai serramenti, che cingono, sostenendo la massa materica del volume abitativo sovrastante, interrotto solo, volutamente, dall’unico delicatissimo ingresso principale, che è posto sulla via Recchi; l’altro ingresso sarà detto secondario per il solo fatto che serviva esclusivamente il piano rialzato – sede di ambulatori e uffici – risulta defilato, nel senso che non si mostra, mascherato tra le ritmiche fitte campate dello zoccolo, rivestite in granito. Dall’ingresso di via Recchi, unico e denunciato, come detto, si accede al percorso coperto e vetrato, trilobato – non più solo cortile – che distribuisce i tre corpi scala, inseriti nel blocco unitario a sei livelli, residenziale, rivestito con lastre di pietra sfalsate, scurettate e ribassate, guarda caso le medesime delle pareti dell’ingresso comune, appendice a terra. I corpi scala-ascensori salgono precisi e identici, la cui forza distributiva si amplia ai piani organizzando gli ingressi degli appartamenti e i saloni: svuotando il blocco, danno forma agli ampi bow-window proiettati all’esterno, verso la città, che a loro volta divengono elementi, identità, inserti, intarsi nel blocco marmoreo, inconfondibili in pianta come nel fronte urbano. Essi stessi scandiscono, indicano, dichiarano la propria funzione, non applicati ma generati dalla pianta, incuneandosi al tempo stesso tra le camere misurate e ordinate delle strutture portanti che danno il passo lungo la via Ma sia e lungo la via Recchi fino ad incontrare, o meglio, incastonare, il corpo del bow-window centrale, come fossero due edifici indipendenti ciascuno attestato sulla propria via. Anche la partitura finestrata traforata nella facciata denuncia questa volontà: le aperture non si rincorrono lungo il perimetro, ma convergono. Dinamica e raffinatezza, qui le forze si incontrano e l’espressione progettuale trova conferma. La copertura, solaio inclinato, rivestito da pietra nera, solo in questo punto si arresta, si ferma, arretra per marcare e nobilitare; si esaltano le due teste in pietra del fronte, confermando quella fascinazione letta in pianta mentre, sull’intero immobile, la tesa avanza decisa oltre il profilo del fabbricato, oltrepassando le murature, proteggendo le fasce dei terrazzi che scandiscono in orizzontale il salire dei piani, i cui parapetti for temente segnati e segnanti sfilano davanti le vetrate degli sporti che percorrono le facciate. Composizione. Le ali delle falde sono profila te dall’ampio canale di gronda che restituisce unità, interrompendosi solo sul fronte, sono sollevate, come appoggiate sul prolungamento dei pilastri tanto che dalla strada si intravvedono i ritagli dell’azzurro del cielo, dovuti alle terrazze ritagliate che, viste dall’alto, paiono come le prese d’aria allineate di un boli de in corsa; ali che sfilano sopraelevate oltre il blocco e i bow-window, e abbracciano il tutto concludendo il progetto e l’opera. Mi emoziono, e credo di poterlo dire se non per tutti sicuramente per molti, quando sono di fronte a opere silenziose, fi glie della ricerca per l’architettura, quella vera, e provo l’entusiasmo dell’uomo che disegna per l’uomo.

[MARCO VIDO da MANTERO: CENTO ANNI DI ARCHITETTURA]