Le riflessioni attorno a questo progetto riguardano i diversi aspetti che lo stesso innesca con riferimento a questioni di tipo stori co, architettonico e artistico. Una prima questione è quella che lo lega a un luogo preciso, l’Isola Comacina, e alle sue vicende; la seconda è riferita alle esposizioni che negli anni Venti e Trenta, prima a Monza e poi a Milano, hanno promosso l’architettura e le arti decorative; infine la qualità del progetto in sé, sorta di manifesto del gruppo dei razionalisti comaschi, “limpida opera raziona lista”, nella definizione di Enrico Mantero. Il 4 agosto 1917 l’allora sindaco di Sala Comacina, Augusto Giuseppe Caprani nomina come erede dell’intera isola il re del Belgio, “allo scopo preciso ed unico di lasciare un ricordo perenne e storico della intensa simpatia manifestata dalla grande maggioranza degli italiani a Sua maestà il Re Alberto del Belgio ed al popolo belga per il loro eroico contegno verso i loro prepotenti e feroci aggressori”. Alla morte del Caprani (1919) la proprietà dell’isola passa quindi allo Stato belga che nell’anno successivo la ridona allo stato italiano con l’indicazione precisa di lasciarla all’Accademia di Brera anche grazie all’interessamento dell’allora presidente G. Beltrami che nella bellezza di questo paesaggio vedeva un luogo adatto all’attività artistica. L’obiettivo era la promozione delle attività artistiche tramite la costruzione di case per artisti, di un albergo e luoghi per esposizioni. Nel 1921 l’Accademia indice il Con corso Camillo Boito relativo al piano regolatore dell’Isola Comacina che chiedeva ai progettisti la riorganizzazione urbanistica e funzionale dell’intera isola. Le proposte non soddisfano l’ente banditore, che non dà seguito neppure ai cinque progetti premiati sui ventidue in gara. Nel 1926 Moretti e Frigerio ricevono l’incarico per un piano di massima e danno le indicazioni per la realizzazione sull’isola dei primi interventi di urbanizzazione, luce elettrica, acqua, viabilità interna, opere svolte tra il 1926 e il 1930.
Nel 1933 l’incarico passa al giovane Pietro Lingeri, con la richiesta di un progetto, battezzato Cristopoli, che contenga un grosso albergo, delle case per artisti, oltre ad attrezzature sportive: un progetto meno costoso e più semplice di quello precedente che potesse avere possibilità di realizzazione. Lingeri progetta un albergo per artisti e una villa per artisti accomunati dalla planimetria a L e dagli evidenti riferimenti lecorbuseriani. Solo più tardi, verso la fi ne degli anni Trenta, e solo Lingeri avrà la possibilità di realizzare effettivamente tre case per artisti, assai diverse dal progetto del 1933 ma ancora le gate alla poetica di Le Corbusier, d’altronde è proprio un’opera di Lingeri, a detta di Kenneth Frampton, a interpretare corretta mente per la prima volta sul suolo italiano le idee dell’architetto svizzero, precisamente con la sede dell’Amila di Tremezzo, 1927. Sarà proprio l’incarico a Lingeri a dare la possibilità al Gruppo di Como, formatosi nel 1932, di presentarsi con un tema con creto alla V Triennale che, conclusa l’esperienza monzese, si svolge a Milano nel 1933 nel nuovo palazzo che Muzio stava costruendo. Nell’adiacente parco Sempione il regista dell’esposizione, Giò Ponti, organizza la Mostra dell’abitazione che intende inserire varie costruzioni, perfetti modelli di dimore.
La planimetria mostra le venticinque opere firmate dal gotha dell’architettura italiana del tempo: la villa studio per un artista (Figini e Pollini), la casa del sabato per gli sposi (Portaluppi, BBPR, Sabbioni, Santarella), la colonia di cinque case per vacanze (Griffini, Faludi, Bottoni), la casa a struttura in acciaio (Pagano, Albini, Camus, Palanti, Mazzoleni, Minoletti), ed ancora opere di Piccinato, Faludi, Lancia, Daneri e Vietti. Abitazioni quindi pensate per luoghi (mezza montagna, Appennino, golfo) o committenti generici (il dopolavorista, l’aviatore, il conduttore di fattoria). Quello che differisce l’opera dei comaschi (Cereghini, Dell’Acqua, Giussani, Lingeri, Mantero, Ortelli, Ponci, Terragni) casa dell’artista sul lago dagli altri progetti è la precisa collocazione.
La Casa dell’artista sul lago è infatti pensata per essere realizzata sull’Isola Comacina, possiede un suo contesto, un suo sito. Più esattamente deve essere collocata nella parte centrale e a mezzogiorno dell’isola, dove poi invece sorgeranno le tre villette di Pietro Lingeri. L’edificio è diviso in due blocchi, uno per l’abitazione, posto su due livelli, l’altro per l’atelier, volume doppio di circa 5,50 m di altezza. Il suo orientamento e la disposizione delle facciate alludono a una collocazione compatibile all’orientamento dell’isola (disposizione lungo l’asse sud ovest/nord-est). La facciata verso il lago possiede ampie logge, contrariamente alla facciata settentrionale che presenta finestre allineate nella parte dell’abitazione e una parete in vetrocemento nella parte dell’atelier che in alto gira orizzontalmente a formare il soffitto. Questa facciata è quella che offre i maggiori contrasti visivi: traslucida e scura la zona dell’atelier, chiara e con finestre ordinate la zona dell’abitazione. I due corpi sono di fatto divisi, li unisce solamente il porticato che forma al piano superiore una terrazza sormontata da una struttura metallica. Le foto d’epoca mostrano la grande suggestione spaziale e di luce che off riva l’atelier con l’arredamento disegnato ad hoc e la doppia al tezza del locale. Quello che le foto d’epoca non possono trasmettere sono le sensazioni materiche e cromatiche che ci vengono de scritte dai progettisti. Lo studio ha pareti color grigio sabbia e pavimento in legno; il resto della pavimentazione sarà invece in linoleum, tranne che per la cucina e il bagno in cui verrà posato il mosaico, giallo per la prima e rosso per la seconda stanza. La gamma dei colori delle pareti è altresì varia: rosa, giallo e verde chiaro per il soggiorno, azzurro pallido la cucina, abbinamenti verde e beige, malva e verde-grigio, rosa e giallo per le camere. L’abitazione ha una forte vocazione verso l’esterno, grazie alle logge sul lato a lago e alla disposizione della zona giorno che comunica col giardino, mentre un tramezzo scorrevole in cristallo e metallo permetteva di unire pranzo e soggiorno. La residenza è inoltre arricchita da affreschi di Mario Radice e di Marcello Nizzoli che realizzò una composizione di vita sportiva sul Lario, collocata sotto il portico. Appaiono evidenti nell’architettura i riferimenti a tracciati regolatori, precisi rapporti tra pieni e vuoti, proporzioni e rettangoli aurei che sono propri della ricerca razionalista, in particolare di Terragni. L’apporto personale fornito dall’ing. Gianni Mantero al gruppo emerge dall’esame dei disegni presenti nell’archivio in cui è rimasta traccia della prima ipotesi, disegnata attraverso diverse rappresentazioni prospettiche e assonometriche. Rispetto alla soluzione finale si notano diversi rapporti tra pieni e vuoti e numerose soluzioni alternati ve per i prospetti, in particolare quello della zona d’ingresso all’abitazione, ove compari va una canna fumaria in cotto anziché la porta con la pensilina. Altra questione indagata a fondo dall’ing. Mantero è quella della sistemazione planimetrica del livello superiore, nella parte di abitazione occupata dal la camera degli ospiti con diverse soluzioni che modificano anche la disposizione del prospetto relativo. Gli ultimi disegni riguardano i dettagli costruttivi interni (pavimenti e rivestimenti dei bagni e della scala) oltre ad un buon numero di arredi, di chiaro stampo funzionalista. L’edificio fu alla fine costruito con struttura lignea e tampona menti leggeri. In fase di progetto furono va lutate, nell’ottica di una reale possibilità di costruzione in serie, diverse soluzioni che, partendo da strutture metalliche prefabbricate, andarono poi verso la scelta di materia li e tecnologie locali capaci di razionalizzare il processo di trasporto e montaggio, tenuto soprattutto conto della collocazione sull’isola e quindi della necessità di un trasporto via acqua. La Casa per Artista sul Lago, che ot tenne un Gran premio con rallegramenti a Campione d’Italia nel 1934, non ebbe comunque un successo di critica unanime: Edoardo Persico definì quest’architettura “un gioco arido di pieni e di vuoti”, Sigfrid Giedion sulla rivista “Quadrante” la inserì tra le “fantasie architettoniche” destinate a “categorie di persone inesistenti in realtà”, e la presunta, troppo evidente, leadership di G. Terragni sul resto del gruppo fu una critica che Alberto Sartoris sollevò per molti anni. Più gratificanti le parole di Bruno Zevi: Terragni guida l’intero Gruppo di Como a realizzare questo programma democratico, palesemente inorganico nei confronti dell’ideologia fascista volta a coinvolgere la cultura nella propria retorica nazionalista. In conclusione resta da sottolineare lo sforzo evidente di ristabilire un contatto diretto e una relazione con luoghi specifici che resta una delle caratteristiche migliori del Razionalismo lariano. Un’opera che, pur nella sua minima scala dimensionale, permette una lettura che verifica la trilogia composta dal rapporto col luogo, riflessione sulla tipolo gia e sul linguaggio architettonico che spes so Enrico Mantero utilizzerà nell’analisi dell’architettura razionalista.
[NICOLA MASTALLI da MANTERO: CENTO ANNI DI ARCHITETTURA]